Alcune riflessioni sulla visibilità dei traduttori letterari

Letteratura

di Daniela Corrado

I see translation as the attempt to produce a text so transparent that it

does not seem to be translated. A good translation is like a pane of glass.

You only notice that it’s there when there are little imperfections—

scratches, bubbles. Ideally, there shouldn’t be any. It should never call

attention to itself.

(Norman Shapiro)

Dopo la lunga pausa natalizia, riprendiamo le attività del blog. Ecco, qui in basso, alcune riflessioni sulla “visibilità” dei traduttori letterari. Buona lettura! 🙂

Per tutti gli anni dell’Università, e anche dopo, mi è stato detto che una buona traduzione dovrebbe essere in grado stabilire un’equivalenza pressoché totale tra il testo di partenza e quello di arrivo. In altre parole, di solito, clienti, editori, giornalisti, critici letterari, ecc. si aspettano che un traduttore produca un testo conforme il più possibile a quello di partenza; per questo, di norma, al traduttore non viene chiesto di essere creativo, ma di limitarsi a trasporre fedelmente il testo commissionatogli.

Nonostante questa pretesa di invisibilità, non sempre il traduttore, proprio in nome della sua etica professionale, può rispettare un tale diktat. La traduzione è, di fatto, una manipolazione che porta alla riscrittura di un testo, e lo sforzo creativo del traduttore è quello di mediare tra due testi che rappresentano due diverse culture, tutelando entrambe, perché non è detto (anzi accade in realtà assai spesso) che ciò che in un paese si esprima utilizzando certe parole abbia il suo esatto equivalente al di fuori dei confini nazionali.

Per questo motivo, la legge italiana, benché vetusta, protegge il lavoro e la figura del traduttore assimilandola a quella dell’artista, o meglio dell’autore. La traduzione editoriale, infatti, è regolata dalla normativa sul diritto d’autore (Legge 22 aprile 1941, n. 633 e sue successive modifiche); la quale afferma all’art.4 che: “[…] sono altresì protette le elaborazioni di carattere creativo dell’opera stessa, quali le traduzioni in altra lingua”, e più avanti all’art.7 specifica chiaramente che: “è considerato autore delle elaborazioni l’elaboratore, nei limiti del suo lavoro”.

Se l’autore dell’elaborazione è l’elaboratore, alias l’autore della traduzione è il traduttore. La già citata legge su diritto d’autore obbliga dunque gli editori a riportare sempre il nome dell’autore, o degli autori, di un’opera. A questo punto verrebbe da chiedersi come mai, invece, sono solo in pochi, e di solito in gran parte gli addetti del settore, a conoscere e ricordare i nomi dei traduttori, persino di quelli più famosi, grazie ai quali ci è permesso ancora oggi di gustare i capolavori della letteratura straniera di tutto il mondo.

Se chi traduce non avesse speso tempo ed energia sulle “sudate carte”, scontrandosi con il testo, mediando e interpretando la sostanza di un pensiero espresso in un’altra lingua, al di là del mero accostamento delle singole parole, di certo non avremmo avuto la Bibbia, l’Odissea, i capolavori di Virgilio, e persino parte della produzione di Dante e Petrarca.

Il traduttore, esattamente come l’artigiano, sa che ciò che produce è caratterizzato dalla passione per ciò che fa, anche se non sempre il guadagno economico che ne ricaverà sarà in grado di compensare lo sforzo, il lavoro, la pazienza e gli anni di studio spesi in precedenza.

Nella sua stanza, distante dai rumori del marketing e dalle affollate presentazioni nelle librerie e nei centri commerciali, il traduttore lavora silenziosamente per diffondere la cultura nel suo paese.

I Romani usavano dire “nomen omen”, ovvero che il destino di ognuno è già espresso nel nome…

Un giorno, forse, il traduttore diventerà molto più di un’ombra e citare il suo nome sarà un atto di ringraziamento dovuto.

Il demone della traduzione

Traduzione_caccia_al_tesoro

di Daniela Corrado

Questo post nasce dalla necessità di condividere con altri traduttori le mie esperienze personali, partendo da un presupposto piuttosto banale: ma è vero che “mal comune, mezzo gaudio”?

Nelle ultime settimane mi sono occupata di un progetto di traduzione in ambito medico (premetto di aver già tradotto dei testi di fisica, veterinaria e archeozoologia in precedenza) che mi ha portato via tantissimo tempo, provocandomi forti ansie, insonnie e palpitazioni, fino alla tanto attesa data di consegna.

Se è vero che ogni testo rappresenta una sfida a cui il traduttore non può sottrarsi, pena la rinuncia totale alla traduzione, è anche vero che, in alcuni casi, la scrittura tecnica (scientifica, giuridica, ecc.), a differenza di quella narrativo-discorsiva, non vuole comunicare a tutti, ma solo ad alcuni; e per questo, il traduttore, oltre a gestire il grado di impersonalità e i tecnicismi che la contraddistinguono, è tenuto soprattutto a imparare un linguaggio nuovo.

Per molti anni si è operata una divisione, piuttosto imprecisa e generalista, tra la traduzione editoriale e quella tecnico-scientifica, includendo nella prima tipologia le traduzioni svolte per committenti editoriali e, nella seconda, quelle destinate a committenti privati, aziende, associazioni, enti pubblici, ecc.

Non voglio entrare nel merito di questa distinzione desueta sulla cui imprecisione tutti concordano, ma sottolineare soltanto di sfuggita il dramma personale di molti traduttori che, come me, svolgono delle traduzioni più o meno tecniche che poi vanno in stampa.

Sì, perché molte delle traduzioni scientifiche che ho svolto hanno avuto come scopo iniziale la presentazione di una specifica ricerca, in Italia o all’estero, in contesti di tipo congressuale; ma, in via del tutto parallela, i testi tradotti confluiscono sempre anche nei poster scientifici e nelle successive pubblicazioni.

Riassumendo: essendo una traduttrice che ha tradotto dei testi tecnico-scientifici che sono stati anche pubblicati, sono una traduttrice tecnica o editoriale?

Mmh, la  faccenda si fa confusa.

Presa da una crisi di identità, in grado anche di minare la visibilità della mia professionalità (provate a non rispondere alla domanda di un cliente e/o collega che vi chiede delucidazioni sulla vostra posizione professionale, specialmente se ha un’esperienza decennale, e poi mi dite…), decido di valutare le varie opzioni:

a) Sì, sono una traduttrice tecnica, specializzata nella traduzione dei testi scientifici. No non traduco manuali tecnici. Sì, traduco documenti aziendali. Sì, non ho problemi con l’editing e il post-editing perché faccio anche editoriale e collaboro stabilmente con alcuni periodici.

b) Sì, sono una traduttrice editoriale. Mi occupo in prevalenza di testi scientifici e giornalistici. No, non traduco manuali.

c) In realtà, sono una traduttrice tecnico-editoriale. Faccio entrambe le cose: sia traduzioni per periodici e pubblicazioni varie, sia traduzioni scientifiche. Ho esperienza in testi di fisica, veterinaria, medicina, archeologia e archeozoologia.

Qual è secondo voi la risposta giusta?

Sembra uno di quei quiz ministeriali in cui tutte le risposte sembrano vere…

Eppure, guardandomi indietro, mi accorgo  che questa sorta di indeterminatezza mi accompagna già da parecchio tempo; da quando, subito dopo la laurea, tutti i miei amici si scoprivano medici, ingegneri, chimici, fisici, matematici, filosofi, ecc. ed io, invece, avvertivo una profonda differenza tra essere “laureati in lingue” ed essere un “linguista”.

La sensazione di essere un pesce fuor d’acqua permane quando si dice a parenti ed amici che di mestiere si fa il traduttore (di solito l’espressione che segue è un misto di curiosità, perplessità, pena e preoccupazione), quando il committente e/o collega ti parla di qualche diavoleria tecnologica che nemmeno conosci, quando un amico ti chiede di tradurre così su due piedi il titolo di un libro inedito in italiano, e, ad essere sincera, anche quando ti trovi ad aprire per la prima volta il file che dovrai tradurre e consegnare a giorni (in quel caso mi chiedo sempre chi diavolo me l’abbia fatta fare ad accettare!).

Ecco cosa accade: dai una prima lettura al testo, poi inizi a tradurre così all’impronta, poi rileggi e ti rendi conto che così non va, allora torni indietro e approfondisci la lettura del testo, a quel punto decidi di partire per una ricerca terminologica le cui fonti sono perse o nascoste nel web, dopo aver gioito dei ritrovamenti fatti sul web, è ora di dare ordine alla struttura della frase, ti assalgono i dubbi della sintassi, riesci a sconfiggerli e piena di coraggio vai avanti, riguardi lo stile, hai finito. Sì… una frase!

E poi, frase dopo frase, accade qualcosa di miracoloso: sei entrato nel testo e lo senti tuo.

Questo è tradurre. Tradurre scienza, tradurre arte, tradurre narrativa, tradurre poesia, tradurre musica, tradurre cinema, ecc.

È, ad ogni costo, tradurre.

Editoria e norme editoriali: citare o non citare il nome del traduttore? Questo è il problema…

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di Daniela Corrado

Riportiamo il seguente post del collega Paolo Antonio Livorati su come : “anche IL (mensile del Sole-24 Ore) pur con tutti i suoi pregi stia perpetuando la convinzione che i traduttori non siano importanti.

In effetti in Italia, nonostante la legge obblighi gli editori a citare il nome del traduttore in copertina/frontespizio, molto spesso accade, com’è noto tristemente a tutti, che le norme non vengono applicate.

Sarebbe un atto rispettoso delle leggi italiane e di grande sensibilità intellettuale citare sempre il nome del traduttore accanto a quello dell’autore di un testo; e ciò sia perché un traduttore è in realtà “autore” del testo che traduce, sia perché se si vuole davvero creare un’Italia, o meglio un mondo, migliore bisognerà prima di tutto rifarsi in primis alle prassi della buona educazione.

1a parte: http://storify.com/plivo/traduttori-in-corpo-2
2a parte: http://storify.com/plivo/traduttori-in-corpo-2-seconda-parte-come-i-tipogra

Senza scrittori: un documentario sull’editoria italiana

scrittori-precari

di Daniela Corrado

Senza Scrittori è un documentario andato in onda su Rai.tv che affronta il tema della narrativa oggi e, in modo particolare, dei rapporti tra scrittori, editor e case editrici.

Attraverso l’analisi del sistema e del mondo dell’editoria odierna, della distribuzione, delle librerie, ecc. questo documentario vuole lanciare una provocazione forte e spingerci a riflettere su alcune questioni impellenti: che cos’è “letteratura”, e che cos’è “letterarietà” oggi? Fino a che punto i libri che scalano le classifiche e che si vendono nelle librerie rappresentano il mondo degli scrittori italiani?

Il sistema editoriale è, purtroppo, intriso di cinismo. Ciò è dovuto al fatto che i libri che “non si vendono” e che non hanno mercato non sono buoni libri. Quindi il compito della casa editrice è vendere o proporre cultura? Lascio a voi la risposta…

La regia del documentario è di Andrea Cortellessa e Luca Archibugi, qui sotto il link per vederlo:

Senza scrittori: un documentario sull’editoria italiana di Rai.tv

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