International Day of Happiness: la lista dei desideri di un traduttore

linus-felicita

di Daniela Corrado

Oggi, in occasione del primo UN International Day of Happiness, un post sul “domandone”: “Cosa rende felice un traduttore?”

Ecco le risposte che -personalmente- mi sono data:

  • Lavorare – Il lavoro del traduttore freelance non è per niente semplice. Passi gran parte del tempo a fare marketing per trovare clienti e quando lavori è raro che tu riesca a dedicare alla traduzione il tempo che vorresti. La maggior parte dei clienti, infatti, necessita della traduzione in tempi stringenti e, a meno che non si lavori con tipologie di testi già note (ma anche in questo caso l’approfondimento linguistico è d’obbligo perché il dubbio terminologico e/o le sviste sono sempre in agguato…), non si ha mai il piacere di dedicarsi all’interpretazione e alla resa del testo come si vorrebbe. Durante i corsi di formazione o i meeting con i colleghi, l’ansia principale che attanaglia il traduttore è sempre quella di non riuscire ad avere sufficienti contatti/lavori a cui dedicarsi. In questo settore la competizione è vasta e spietata e solo in pochi riescono ad emergere e ad avere successo. I traduttori alle prime armi sono spesso demotivati perché non sanno come far fruttare concretamente gli anni di studio che hanno alle spalle e cercano semplicemente qualcuno che offra loro la possibilità di far vedere quanto valgano. Avere la possibilità di una formazione diretta sul campo, oltre ad essere gratificante, serve per far capire al traduttore se quella imboccata è davvero la strada che si vuole percorrere, e soprattutto è fondamentale per capire in quale settore specializzarsi. Quindi, per essere felice, un traduttore ha senz’altro bisogno di lavorare.
  • Tempi di consegna ragionevoli – Su questo punto, in realtà, c’è poco da dire. La traduzione, come accennavo prima, dal punto di vista del business, è una prestazione professionale di servizi. Se un privato, un’azienda o un ente ha bisogno di esternalizzare un servizio si rivolge a suo piacimento al professionista che ritiene più affidabile/conveniente e negozia costi e tempi di realizzazione in base alle sue personali esigenze. Sinceramente, mi è capitato di rado di trovare committenti in grado di comprendere a pieno il valore aggiunto che un tempo di consegna ragionevole dà alla traduzione, soprattutto per quel che riguarda la fase delicata della revisione. Ma, ad ogni modo, sono in questo settore da soli due anni, un tempo ragionevolmente breve per fare bilanci, e chissà che nel futuro io non possa ricredermi e rimangiarmi quanto scritto in questo post (ci spero proprio!).
  • Ricevere un compenso equo – Il tema delle tariffe di traduzione è piuttosto spinoso. Nel mercato libero è legittimo impostare le tariffe di traduzione in base ai propri standard. Tuttavia, essendo la professionalità del traduttore poco normata (senza albo, senza cassa, senza o quasi sindacati, ecc.) la verità è che ognuno fa un po’ come gli pare… Il risultato è un mercato confuso in cui il traduttore professionista con anni di esperienza alle spalle può permettersi di chiedere anche 25/30 euro a cartella, le agenzie di traduzione applicano il fee che ritengono competitivo per il loro target di utenze/mercato, e il traduttore alle prime armi, spesso snobbato e isolato dalle due categorie precedentemente elencate, non avendo prospettive certe e dati attendibili su cui basarsi, di norma svaluta il proprio lavoro e la propria professionalità nella speranza di riuscire a penetrare il muro che ha davanti, danneggiando inconsapevolmente l’intera categoria dei traduttori, o -se è più scafato- posta in un forum, di solito su Proz, una timida domanda a cui puntualmente segue uno sproloquio di risposte che non servono ad altro se non ad aumentare la confusione già esistente. Consiglio (di cuore): fatevi un’idea del vostro prezzo standard in base al tempo che impiegate per tradurre una cartella. Ogni traduzione e ogni cliente è un caso a sé. Negoziate sempre il prezzo in base al cliente, alla tipologia/specificità del testo, all’urgenza della consegna. Temporeggiate (non troppo!) offrendo al cliente un preventivo chiaro (prendetevi anche una giornata intera se occorre!) in cui esplicitate con trasparenza lapalissiana le voci che concorrono alla formazione del prezzo finale richiesto (traduzione per nr. di cartelle/parole, revisione specialistica, eventuale asseverazione/editing e quant’altro…).

Ecco, mi sono dilungata già troppo, ma in sintesi a un traduttore basterebbero queste tre cose per vivere e lavorare felicemente. Ce ne sarebbero molte altre da elencare, questo sì, ma nella lista delle priorità credo che questi tre punti siano essenziali per garantire dignità ad una professione così bella come la nostra.

Nuove regole per i professionisti “senza albo”

codice del consumo

di Daniela Corrado

Era già nell’aria da dicembre e finalmente ne vediamo i primi frutti. Si tratta della Legge 14 gennaio 2013, n.4 “Disposizioni in materia di professioni non organizzate” che disciplina le professioni non organizzate in ordini e collegi. Vediamo in dettaglio di cosa si tratta. La legge dice che chiunque svolga una professione non soggetta all’iscrizione ad albi o elenchi (ai sensi dell’art. 2229 del Codice civile), da lunedì 11 febbraio 2013, dovrà apporre in ogni documento e rapporto scritto con il cliente il riferimento alla suddetta normativa, aggiungendo inoltre che nei casi in cui il professionista appartenga ad associazioni e ne utilizzi l’intestazione dovrà specificare, assieme agli estremi di legge, anche il nome dell’associazione di cui fa parte e il proprio numero di iscrizione.

In pratica, bisognerà apporre su ogni documento scritto con il cliente (fatture, ricevute, notule, intestazioni, email, ecc.) la seguente dicitura:  “professionista di cui alla Legge n.4 del 14 gennaio 2013, pubblicata nella GU del 26/01/2013”, aggiungendo anche “socio (nome dell’associazione) n. tessera (…)” in caso di appartenenza ad associazioni professionali.

Il provvedimento, che si ispira al rispetto dei principi dell’Unione europea in materia di concorrenza e di libertà di circolazione, coinvolgerà  molte professionalità: traduttori, interpreti, consulenti del web, tributaristi, amministratori di condomini, grafici web, pubblicitari, fisioterapisti, ecc.

È importante sottolineare che l’apposizione della dicitura rimandante alla L. n. 4/2013 non sarà facoltativa, ma obbligatoria. L’inadempimento, infatti, rientrerà tra le pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori previste dal Codice del consumo (D. Lgs. n. 206/2013, Titolo III, Parte II).

Qui in basso potete trovare i link alle normative in questione, più un articolo de “Il Sole 24 Ore” che ne dà notizia:

Partite Iva di tutti i paesi, unitevi!

Help Traduzioni

di Daniela Corrado

Negli ultimi giorni – o forse sarebbe meglio dire negli ultimi mesi e anni – si è molto discusso sulle difficoltà, soprattutto economiche, del mestiere del traduttore. Dopo la lettera di protesta della traduttrice Andrea Rényi a Baricco, incriminato per non aver citato nel suo articolo su La Domenica di Repubblica i nomi dei traduttori dei migliori cinquanta libri letti negli ultimi dieci anni, e l’intervento di Paola Mazzarelli, traduttrice editoriale da oltre trent’anni, fondatrice della Scuola di Specializzazione per Traduttori Editoriali di Torino e redattrice della rivista Tradurre, sul Faber blog (il blog per chi la cultura la fa) del Sole 24 ore, ebbene è la volta di Ida Bozzi che, su Il Corriere della Sera, dà voce alla battaglia dei professionisti italiani nell’articolo “La vita agra del traduttore”.

Il tema principale è sempre lo stesso: l’assenza di riconoscimenti professionali (ricordiamoci che i traduttori non solo non hanno un albo, ma nell’iscrizione in Camera di Commercio vengono inseriti nella sezione “altro”), la miseria delle tariffe e la totale mancanza di tutele sanitarie e contributive. Se un traduttore si ammala, ha una gravidanza, va in ferie…beh semplicemente non guadagna.

In settimana mi è capitato di assistere ad un convegno di archeologi; è così che ho scoperto che anche in questo campo le cose non vanno meglio. L’80% circa degli archeologi è senza contratto e lavora a Partita Iva e -senti, senti…- neanche loro hanno un albo. All’improvviso mi ricordo di alcune ragazze laureate in biologia incontrate tempo fa ad un seminario di orientamento al lavoro, anche loro precarie o impiegate occasionalmente nei laboratori d’analisi, e anche in quell’occasione saltò fuori l’argomento Partita Iva. Beh, se il datore di lavoro non ti fa un contratto in qualche modo dovrà pur pagarti: ecco il perché della Partita Iva. Gli archeologi del convegno si lamentavano degli avvocati e degli ingegneri perchè loro sì che ce l’hanno l’albo. In realtà, molto spesso, anche questi professionisti lavorano con la Partita Iva fornendo consulenze o prestazioni varie e occasionali.

Credo che il problema sia, in generale, del lavoro, e che diventi più evidente nelle professioni connotate di “rosa”. La gran parte degli archeologi, dei traduttori e dei biologi sono donne. Sinceramente non so come un problema così annoso possa risolversi in un albo, anche se devo ammettere che potrebbe essere un piccolo passo verso “qualcosa”. Forse sarebbe meglio la medicina Monti: aboliamo tutti gli albi e gli ordini professionali. Anche questa potrebbe essere una strada perseguibile…

Per ora, nel mio piccolo, svolgo la mia battaglia personale consigliando a tutti di non piegarsi a lavorare gratis o per pochi spiccioli. Se TUTTI i traduttori, specialmente i neolaureati in discipline linguistiche, si rifiutassero di lavorare gratis ci sarebbe lavoro pagato non dico per tutti, ma almeno per qualcuno! Nessuno assume un traduttore se sa già che c’è qualcuno disposto a tradurre gratis! E lo stesso discorso vale anche per le altre professioni. Credo infatti che si dovrebbero eliminare in toto tutti i tirocini e gli stage in quanto forme legalizzate di lavoro non o mal retribuito! Tenere uno stagista per 18 mesi e poi assumerne un altro, e un altro ancora, senza proporre uno straccio di contratto a nessuno di questi, indipendentemente dal fatto che abbiano lavorato bene o male, è il vero scandalo del lavoro di oggi, e coinvolge tutti! Tutti dovremmo combattere questa battaglia, e invece di accontentarci di riconoscimenti settari o restare inebetiti a guardare, fare in modo che il motto del Gattopardo non vinca e che qualcosa cambi davvero.

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