L’inglese per il lavoro: perché non occorre essere perfetti. Sapere, saper fare e saper essere

keep-calm-and-trust-me-i-m-a-linguist-3di Daniela Corrado

In una società e in un mercato sempre più globalizzati e multiculturali, parlare dell’importanza dell’apprendimento delle lingue straniere può sembrare quasi una banalità. Eppure non lo è. I know, come incipit è un po’ debole, ma se avete la pazienza di continuare a leggere, vi accorgerete che questo non è il solito post.

In Italia l’insegnamento dell’inglese nella scuola è previsto a partire dai 6 anni, ma in altri paesi europei l’apprendimento di una seconda lingua (L2) è proposto già nel prescolare.

Si tratta di una scelta politica e culturale precisa. La televisione ci dice che “di Europa si deve parlare”, ed è vero. Aggiungerei che, per parlare di Europa, occorrerebbe conoscere le lingue europee, e quindi investire concretamente nel loro apprendimento e nella promozione dell’italiano all’estero.

È di oggi, ad esempio, la notizia che l’Università di Pisa è entrata a far parte del Consiglio europeo per le lingue (CEL). Ma quanti di noi sanno cos’è il CEL e di cosa si occupa?

Spesso si sente dire che c’è uno “scollamento” tra la scuola, l’università, le istituzioni e il mondo del lavoro. Secondo me lo scollamento non avviene al termine degli studi, ma è già presente nella fase di apprendimento; ovvero quando lo studente non capisce il valore concreto delle nozioni che sta imparando e quale possa essere il loro utilizzo pratico.

Se nelle grandi università americane e inglesi è possibile, se si vuole, studiare la fotografia; qui in Italia la fotografia è solo un hobby.
Se la fisica appresa in laboratorio ci svela come funziona il mondo e l’universo, insegnata in aula è solo un mucchio di pagine piene di formule da imparare a memoria.
Se l’inglese è un dialogo letto su un libro, o un gap da riempire per terminare correttamente un esercizio, è solo una lingua morta.

Anch’io ho studiato l’inglese principalmente a scuola e in università, ma entrata nel mondo del lavoro ho capito che tutto ciò che avevo imparato dovevo in qualche modo dimenticarlo: smettere di preoccuparmi della grammatica, delle regole, della sintassi, della morfologia , ecc. e occuparmi di “comunicare”.
Il mio italiano non è sempre perfetto, non vedo perché debba esserlo il mio inglese.

Con questo non voglio dire che la grammatica e le regole non siano importanti, anche perché non corrisponderebbe al vero. Nelle traduzioni, e più in generale nella produzione di testi scritti, la correttezza, l’accuratezza e la precisione sono ovviamente qualità essenziali da cui non si può prescindere. Ma la mia provocazione mira a stimolare una riflessione concreta sui metodi di studio delle lingue straniere, così come di ogni altra disciplina scolastica, e sull’uso che nella vita, nella politica e nel lavoro si fa di ciò che si è imparato sui banchi di scuola.

Una grande lezione, in questo senso, l’ho appresa alle scuole medie grazie alla mia pen friend Annah, nata e cresciuta nelle campagne del Sussex. Ci scrivevamo lunghe lettere in inglese: le sue piene di errori grammaticali e le mie ovviamente perfette (corrette dalla maestra).
Dopo alcuni mesi tristemente, o almeno per me fu un triste evento, il carteggio si interruppe. Le mie lettere, per Annah, erano “so boring” (talmente noiose).

All’università ho ripreso alcune di quelle lettere. Rileggendole ho capito subito quanto fantastiche fossero le sue e quanto, al contrario, ingessate, impostate e perfette (in poche parole “so boring”) fossero le mie.
Se oggi Annah fosse stata un mio cliente o un contratto, sarebbe stata un cliente o un contratto perso.

Non bisogna mai perdere di vista l’obiettivo: ecco perché oltre a “sapere”, è altrettanto importante “saper fare” e “saper essere”.

4 buone ragioni per imparare l’inglese (per adulti e bambini)

4 buone ragioni per imparare l'inglese - Help TraduzioniL’apprendimento delle lingue straniere è un tema molto discusso.

Ecco una lista con quattro buone ragioni per imparare l’inglese, redatta in base ai risultati di una ricerca della Penn State University in Pennsylvania.

Si tratta di considerazioni semplici, ma non per questo meno importanti. Vediamo insieme cosa dicono questi studiosi della Penn State University.

Imparare una lingua straniera…

1. Fa bene al cervello

Recenti studi di psicolinguistica hanno dimostrato che imparare l’inglese (ovvero in generale una seconda lingua) fin dall’infanzia migliora le abilità cognitive ed espressive. Si sviluppa una maggiore capacità di ragionamento, pianificazione e problem solving. Il cervello si allena al multitasking e invecchia più lentamente.

2. Migliora la proprietà di linguaggio

Studiare una seconda lingua affina le competenze linguistiche anche nella propria lingua madre. Il confronto con le strutture grammaticali di una lingua straniera, infatti, permette di riflettere sulla grammatica, il lessico e la sintassi della propria lingua di origine. Imparare l’inglese significa dunque approfondire anche la conoscenza dell’italiano.

3. E’ divertente

Non sempre per imparare una lingua straniera si devono seguire i classici metodi scolastici basati sulla memorizzazione di regole, studio sui libri di grammatica ed esercizi scritti. Ispirandosi al learning by doing ci si avvicina alle strutture della lingua mettendole in pratica nella conversazione, nella vita pratica o nel gioco (nel caso dei bambini). Canzoni, film, serie televisive, internet sono occasioni da sfruttare per divertirsi e imparare l’inglese.

4. Arricchisce il futuro

Le lingue sono uno strumento prezioso per vari motivi. Sarebbe meglio iniziare a familiarizzare con i suoni e le strutture grammaticali di una lingua straniera fin dalla tenera età. I bambini sono più ricettivi e curiosi. La loro facoltà di apprendimento è maggiore e se si avvicinano alle lingue straniere da subito sarà più alta la probabilità che ne approfondiscano lo studio nel tempo. Agli adulti è richiesto qualche sforzo in più, in ogni caso ne vale la pena. Ѐ noto che conoscere una seconda lingua (in particolare imparare l’inglese) aumenta le probabilità di inserirsi nel mondo del lavoro sia in Italia che all’estero. I vantaggi sono anche però relativi alla sfera privata. Per chi parla inglese o un’altra lingua è più semplice viaggiare, vedere il mondo e fare amicizie.

Perché imparare l’inglese? La tua motivazione è quella più importante!

Le motivazioni per imparare l’inglese possono essere ovviamente molte di più. Ognuno ne avrà una personale legata alla propria vita, lavorativa e non. La nostra esperienza nell’ambito della formazione ci ha insegnato che la motivazione costituisce lo sprone più importante per affrontare un percorso che richiede comunque costanza e impegno. Ci ha insegnato anche che il metodo è essenziale affinché questo percorso sia piacevole e fruttuoso.

Oltre che uno strumento comunicativo le lingue sono una passione. Noi la coltiviamo ogni giorno e cerchiamo di condividerla con i nostri progetti formativi rivolti ai bambini e agli adulti. Per avere qualche informazione in più a riguardo, potete visitare la nostra pagina sui corsi di inglese.

A lezione di inglese: 15 sorprendenti false friends

lezione di inglese - false friends

di Angela Di Giorno

Questa lezione di inglese è rivolta a chi, pur non sapendolo, si è trovato di fronte a questi insidiosi nemici: i false friends. Sono purtroppo molto comuni perciò, se volete evitare brutte figure, ecco una lista di 15 parole inglesi che non sono quel che sembrano.

1. Actual: è un errore molto diffuso tradurre questo aggettivo letteralmente con ‘attuale’, quando invece significa ‘reale, effettivo’. Allo stesso modo, la traduzione dell’avverbio actually non è ‘attualmente’ ma ‘realmente’. Il significato temporale di ‘attuale/attualmente’ è espresso in inglese dalle parole current/currently.

2. Sensible: qui il calco è una tentazione forte, si tende spontaneamente ad associarlo al nostro ‘sensibile’. In inglese, però, l’aggettivo ha il significato di  ‘ragionevole, giudizioso’. Chi invece è incline alla sensibilità è sensitive.

3. Advise (to) : è ‘consigliare’ e non ‘avvisare’ (in inglese to warn). Attenzione anche al sostantivo, il quale fa parte dei non-countable nouns, perciò per dire ‘un consiglio’ bisogna usare l’espressione a piece of advice.

4. Argument: non è ‘argomento’ (che in inglese corrisponde invece a subject o issue) ma ‘discussione, litigio’.

5. Realise (to): significa ‘rendersi conto di, accorgersi’ ma non ‘realizzare’.

6. Quiet: mi è capitato spesso di usare la frase  ‘Be quiet, please!‘ con gli alunni. Nel 90% dei casi mi rispondono che sono già quieti, continuando a parlare tutti insieme e ad alta voce, non cogliendo che gli sto chiedendo di essere ‘silenziosi’ e non calm o still!

7. Present: è sinonimo di gift ossia ‘regalo’.

8. Accident: non si tratta di un ‘accidente’  inteso nel senso generico di evento casuale inaspettato, ma di un ‘incidente’ nel senso di incidente stradale o domestico.

9. Rest (to): il verbo in inglese significa ‘riposare’, da non confondere con to stay che corrisponde a ‘restare’.

10. Annoying: è definito così qualcosa o qualcuno che provoca fastidio, quindi non ha a che fare con la noia. Il termine corrispondente a ‘noioso’ in inglese è boring.

 11. Library: anche in questo caso capita facilmente di cadere nell’automatismo di tradurre ‘libreria’, anche se è abbastanza noto che si tratta di ‘biblioteca’. La libreria è il bookshop o bookstore.

12. Compass: è sempre uno strumento di misurazione, non il ‘compasso’ (in inglese compasses) ma la ‘bussola’.

13. Casualty: non corrisponde all’italiano ‘casualità’ (in inglese chance, fortuity). Significa invece ‘vittima’, nel senso di persona ferita o uccisa nel corso di un evento drammatico come una guerra o una catastrofe.

14. Lentils: per tradizione si mangiano a capodanno! Sono le ‘lenticchie’ e non le ‘lentine’ per correggere i difetti della vista (in inglese lenses).

15. Factory: non immaginate pecorelle e covoni di paglia, piuttosto un edificio grigio e emissioni di fumo inquinante! Si tratta, infatti, di una ‘fabbrica’ e non di una ‘fattoria’. La parola inglese fabric, tra l’altro, è un altro false friend perché significa ‘tessuto, stoffa’!

Ovviamente, la lista potrebbe continuare. Se siete rimasti sorpresi dopo questa breve, e non esaustiva, lezione di inglese sulle insidie dei false friends e volete saperne di più, potete leggere questo articolo di approfondimento.

Mondiali di calcio e linguaggio sportivo: il compito del traduttore

calcio-mondiali

di Daniela Corrado

I Mondiali Brasile 2014 sono l’evento sportivo del momento. Ovunque sui mass media se ne parla. Mentre guardo la partita Italia-Costa Rica (abbiamo appena subito un goal), sento le grida dei vicini fuori dalla finestra, la cronaca in diretta, i commenti degli amici seduti accanto a me sul divano e mi chiedo: “da dove arriva la lingua del calcio?”

Il linguaggio calcistico è a tutti gli effetti un linguaggio settoriale, in alcuni casi così “oscuro” da diventare gergo.

Molti termini calcistici italiani sono neologismi creati da giornalisti sportivi, oppure stranierismi (per lo più dall’inglese e dal francese). Spesso le parole italiane convivono nel linguaggio calcistico comune con le loro “gemelle” inglesi; che, integratesi perfettamente nel discorso parlato, ci aiutano ad evitare la repetition: mi riferisco ad esempio all’uso alternato di corner/calcio d’angolo, cross/traversone, kick off/calcio d’inizio, ecc.

Eppure, non è sempre così facile comprendere i resoconti giornalistici, le dichiarazioni dei team,  le interviste agli allenatori (alcune sono diventate famosissime!), i comunicati stampa, ecc.

In questo campo, esattamente come in altri settori, è necessaria una conoscenza specifica della terminologia, oltre che della lingua di riferimento. Il compito del traduttore che lavora con questa tipologia di testi, o che accetta questi incarichi di interpretariato, è di rendere accettabili le follie linguistiche del calcio. Avete mai provato a tradurre alcune dichiarazioni sportive? Ci vuole una grande passione per lo sport! 😀

Non siete ancora convinti? Provate a testare il vostro livello di inglese calcistico rispondendo a due semplici domande: qual è la differenza tra soccer e football? Perché derby negli USA si dice inter-city match?

Se l’argomento vi incuriosisce (dal punto di vista linguistico), ecco alcuni articoli di riferimento:

Il linguaggio sportivo come linguaggio settoriale, di Domenico Proietti.

Il linguaggio calcistico come lingua settoriale, di Roberta Pagliuca.

Se non avete voglia di leggere, ma volete essere in grado di parlare di calcio in più lingue (inglese, tedesco, francese, spagnolo e portoghese brasiliano), magari in vacanza, vi segnalo il sito Il grande traduttore del calcio: una simpatica applicazione (gratuita) per farvi capire in tutte le spiagge, i parchi, i pub e i campi da calcio del mondo.

 

 

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