Il cervello al buio. Vedere con le lenti del linguaggio: intervista alla Prof. Giovanna Marotta dell’Università di Pisa

Uno dei quadri di Esref Armagan www.armagan.com
Uno dei quadri di Esref Armagan www.armagan.com

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Per la nostra rubrica “Lavorare con le lingue straniere… si può!”, riportiamo qui di seguito un’intervista alla Prof. Giovanna Marotta, Ordinaria di Linguistica presso il Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell’Università di Pisa.

L’argomento è un’interessante studio presentato all’interno dell’Open Day della Ricerca, tenutosi a Pisa pochi giorni fa. Il tema, in sintesi, riguarda il ruolo della vista nel processo cognitivo di rappresentazione semantica della realtà negli individui non vedenti congeniti, in relazione anche a quello dei vedenti.

Buona lettura!

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Intervista

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1. In riferimento allo studio presentato quest’anno all’interno dell’Open Day della Ricerca di Pisa, dal titolo Il cervello al buio. Vedere con le lenti del linguaggio, un articolo del 3 ottobre scorso, apparso sul sito ansa.it , presentava il lavoro del suo team esordendo con il titoloBrain does not need eyes to see”.  Si tratta di uno dei tanti titoli ad effetto tipici del linguaggio giornalistico, o c’è anche un fondo di verità?

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Risposta GM: La frase ha un senso se intendiamo ‘vedere’ non semplicemente come vedere mediante la stimolazione retinica dei nostri organi di senso visivo, ma come creare una rappresentazione del mondo esterno nella nostra mente, anche grazie al ruolo basilare del linguaggio nella cognizione umana: da questo punto di vista, vedenti e non vedenti non sono dissimili, dal momento che i loro cervelli sfruttano le stesse strutture corticali e funzionano nello stesso modo.

2. Alla luce di quanto detto finora, come è avvenuto lo studio sulla rappresentazione semantica degli oggetti da parte dei non vedenti? Ovvero, come è stato possibile stabilire con precisione come un non vedente vede e rappresenta a se stesso i referenti concreti del mondo reale (ad es. un albero, un tavolo, un semaforo, ecc.)?

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Risposta GM: Abbiamo chiesto ad un gruppo di non vedenti congeniti ed a un gruppo di vedenti con le stesse caratteristiche sociali e sociolinguistiche (quali età, genere, grado di istruzione, luogo di nascita) di elencare le proprietà associate ad una serie di stimoli linguistici, quali animali (ad es., cane, gatto), frutta (mela, banana), veicoli (automobile, aereo) o strumenti (martello, cacciavite).

I dati raccolti sono risultati nel complesso non solo comparabili, ma statisticamente indifferenziati nei due gruppi. Anzi, in molti casi la produzione linguistica dei non vedenti è stata più ricca e dettagliata di quella corrispondente dei vedenti, a conferma che in assenza di input retinico il linguaggio gioca un ruolo fondamentale nella costruzione delle rappresentazioni semantiche.

3. Le stesse similarità emergono anche per la rappresentazione dei concetti astratti o dei colori?

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Risposta GM: Nel caso dei concetti astratti, quali allegria, o tristezza, non abbiamo riscontrato differenze, proprio perché tanto i vedenti quanto i non vedenti ancorano il significato di questi concetti all’espressione linguistica.

Viceversa, nell’uso dei termini di colore si rileva un’interessante divergenza, dal momento che i non vedenti, non potendo avere esperienza diretta del colore, ne conoscono soltanto il significato linguistico. Non a caso, i non vedenti hanno fatto minore ricorso ai colori nell’elenco delle proprietà semantiche associate a parole relative al campo semantico della frutta, in cui il colore è tratto saliente sul piano percettivo visivo.

In altri termini, i non vedenti sanno che la banana è gialla, ma poiché per loro ‘giallo’ è soltanto una parola, e non corrisponde ad un’esperienza percettiva, tendono a non fare riferimento a questa proprietà come significativa, come invece accade per i vedenti. Buona parte dei risultati delle ricerche empiriche svolte dal mio gruppo di ricerca sono già rese disponibili in rete e consultabili gratuitamente all’indirizzo:

 http://sesia.humnet.unipi.it/blind_data.

4. Come si può spiegare l’uso perfetto della prospettiva nei dipinti del pittore turco cieco dalla nascita Esref Armagan?

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Risposta GM: I non vedenti sono perfettamente in grado di disegnare, tanto oggetti che panorami, facendo impiego di colori appropriati e delle giuste dimensioni prospettiche.

Ciò è reso loro possibile dalla capacità cognitiva, che condividono con gli altri esseri umani, di rappresentare oggetti e spazi  a livello mentale sopra-modale, cioè non direttamente ed esclusivamente dipendente da un canale sensoriale unico e specifico, vale a dire la vista.

Nei non vedenti, in particolare, il senso del tatto è in grado di fornire le informazioni necessarie alla creazione della rappresentazione tridimensionale, che da piccola scala, quale quella di un oggetto, per poi estendersi su larga scala, come accade per gli spazi ampi e i paesaggi.

5. In conclusione, quali possono essere le applicazioni possibili per questo tipo di studi?

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Risposta GM: La ricerca sulla cecità può fornire utili indicazioni sul rapporto tra cognizione e percezione, aprendo nuove prospettive anche sul versante applicativo, oltre che teorico.

Sul piano sociale, lo studio linguistico e comportamentale degli individui ciechi congeniti può diventare uno strumento utile per facilitare l’emancipazione socio-economica delle persone non vedenti.

Alcune esigenze che sono emerse dal contatto con queste persone riguardano in primo luogo la gestione degli spazi pubblici; ad esempio, la sonorizzazione degli impianti semaforici o la presenza di segnali sonori negli uffici pubblici potrebbe facilitare la possibilità di muoversi in autonomia e sicurezza.

Per ulteriori informazioni sulla ricerca e sulle possibili ricadute sul piano sia teorico e linguistico che pratico e sociale,  vi rinviamo al volume ‘Parlare senza vedere’, pubblicato dalla casa editrice ETS di Pisa.

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