Auguri di buona Pasqua: la ricetta della “schiacciata”

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di Daniela Corrado

Cari lettori e amici,

domani sarà Pasqua, e nel farvi i nostri auguri abbiamo preparato un post un po’ speciale…

Nei mesi scorsi ho avuto modo di collaborare con un’azienda per la creazione di un magazine che, purtroppo, a causa della crisi, non siamo riusciti a far partire. Forse siamo stati un po’ troppo prudenti, chissà, ma dar vita a un progetto ambizioso come quello che avevamo in mente ci è sembrato un vero azzardo di questi tempi.

Uno degli articoli su cui avevo iniziato a fare delle ricerche bibliografiche avrebbe avuto come oggetto, per l’appunto, la Pasqua; e in particolare un dolce: la “schiacciata pasquale”.

Ad essere sincera, nonostante le ricette abbondino sia in tv che sul web, non ho mai avuto modo di lavorare su questo tipo di testi; per cui, la scrittura di questo post, è anch’essa un azzardo, una sorta di esperimento in una direzione a me sconosciuta…

Come molti di voi già sapranno, pur non essendo pisane, Angela ed io viviamo “in quel di Pisa” da ormai qualche anno, e questo post è un regalo e un ringraziamento alla città che ci ha adottate dal punto di vista culturale, sociale, sentimentale e lavorativo. Grazie.

Sperando possa essere interessante e coinvolgente anche per chi non abita a Pisa e dintorni, vorrei condividere con voi l’esito delle mie ricerche sulla versione “pisana” di questo dolce, e lo faccio con questo post che trovate qui in basso.

Auguri di buona Pasqua a tutti! Un abbraccio di cuore da Pisa.

Alta o bassa che sia, come ogni anno, tra pochi giorni sarà Pasqua: uova di cioccolato, dolci, riti religiosi in ricordo della passione di Cristo e, come da tradizione, l’immancabile “benedizione delle uova”.

Tra i vari dolci tipici di questo periodo, c’è n’è uno in particolare, sfarzoso, elaborato, rinomato, che ormai in pochi sanno fare secondo l’antica ricetta: la schiacciata pasquale.

Su internet abbondano le varianti del caso: c’è chi nella schiacciata ci mette l’anice, o piuttosto il marsala o il vin dolce; c’è chi la prepara facendo tre impasti e chi, invece, ce ne aggiungerebbe anche un quarto e un quinto…

Ma la ricetta originale, come spesso avviene per le cose più antiche, si è persa nel tempo. L’arte culinaria, e la pasticceria in modo particolare, è fatta anche di creatività e sperimentazione; così, le varie modifiche apportate dalle nostre nonne e bisnonne alla ricetta, seguendo i gusti personali di ogni famiglia, hanno confuso le idee un po’ a tutti, dando a questo dolce una nota “dispettosa”. E in effetti la schiacciata pasquale, con tutte le fasi di lievitazione che comporta, è tutt’altro che semplice da realizzare, e di certo non è un dolce adatto per chi ha poca dimestichezza, ma tanta voglia di imparare, l’arte della pasticceria.

La prima ricetta documentabile è quella contenuta nel famoso libro La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi (1891), che è forse la prima trattazione gastronomica dell’Italia unita, in cui l’autore, pur intitolandola “stiacciata alla livornese”, accenna ad altre versioni e, in seguito alla spiegazione della ricetta, si premura di aggiungere: “Con questa ricetta, eseguita con accuratezza, le stiacciate alla livornese fatte in casa, se non avranno tutta la leggerezza di quelle del Burchi di Pisa, saranno in compenso più saporite e di ottimo gusto”.

L’affermazione di Artusi ci conferma con certezza che della schiacciata di Pasqua esisteva dunque una versione “pisana”.  Andando più a fondo nella ricerca, non sono riuscita a scovare la storia esatta di Serafino Burchi e della sua eventuale attività di bottegaio e pasticcere, a parte una breve citazione tratta dal “Corriere dell’Arno” del 28 gennaio 1877, in cui pare che il Burchi abbia partecipato, portando parte delle sue leccornie, alla Fiera al R Teatro dei Ravvivati.

E così, senza perdermi d’animo, determinata più che mai a recuperare una ricetta attendibile, e di indubbia provenienza pisana, non potendo più chiederla al grande Silvio Salza (che per altro, in realtà, aveva origini torinesi e solo nel 1924 si trasferì a Pisa con la ditta e la famiglia), sono riuscita invece a snidare e intervistare un allievo del pasticcere pisano Maurizio Lenzini; che alcuni ricorderanno senz’altro per la sua pasticceria a Porta a Lucca, in via Bianchi.

Il signor Francesco Ciacchini, attualmente titolare di un bar pasticceria in via San Iacopo che gestisce con amore e passione assieme alla compagna Valentina, mi ha raccontato di essere stato allievo del Lenzini, il quale a sua volta aveva imparato il mestiere di pasticcere dal suo babbo, dall’età di sedici anni circa fino alla chiamata al militare. Francesco ricorda il suo maestro come un uomo riservato, esigente e, a differenza di molti altri pasticceri, “mai avaro delle sue dosi”.

Avvicinandosi a una mensola della sua pasticceria e prendendo in mano un quadernetto che ha più di vent’anni, Francesco mi spiega pazientemente che la schiacciata di Pasqua: “è un prodotto che costa tanto lavoro perché ha una preparazione che può durare anche 50 ore. C’è il primo lievitino, che deve riposare almeno un giorno, poi si fa un secondo impasto, a cui si aggiungono altri ingredienti, che deve stare in posa almeno altre 20 ore, e infine il terzo passaggio, in cui si inseriscono gli ingredienti restanti e si lascia lievitare ancora, questa volta per un tempo variabile, si parla sempre di lievitazione naturale, prima di far rinvenire l’impasto e infornare”.

“La difficoltà di questo dolce”, aggiunge Francesco, “è data dalla sua lunga lievitazione che richiede un ambiente a temperature costanti di 28°-30° circa”.

Riassumendo il tutto, secondo la ricetta originale di Lenzini, la schiacciata di Pasqua si fa così:

Primo passo – Preparazione del lievito madre con farina, acqua e lievito. Una volta fatto, l’impasto deve riposare circa 20 ore.

Secondo passo – Si aggiunge all’impasto un’altra mandata di farina e acqua e si rimette il tutto a lievitare per altre 20 ore.

Terzo passo – Si aggiunge altra farina, burro, uova, zucchero, sale rosolio di menta, malto, anice, aroma burro, latte di vecchia e un tappo di acqua di rose. Si fa lievitare l’impasto per un’altra oretta e poi si versa il tutto negli stampi. Dopo un’ulteriore lievitazione di circa 20 ore si procede ad infornare.

Le dosi precise degli ingredienti, si sa, i pasticceri son restii a darle, ma la pazienza, passione e tradizione che Francesco mette nella preparazione di questo dolce, portando avanti la storia dell’artigianato pisano, sono anche le doti essenziali che servono per portare avanti l’economia e la cultura di un paese, doti che -mi permetto di aggiungere- sono anche dei traduttori: pazienza nell’interpretazione e nella resa dei testi, passione per il proprio lavoro, e infine studio della tradizione, della letteratura e degli ipotesti di riferimento.

Fonti:

Luca Anselmi, “Aziende familiari di successo in Toscana”, Franco Angeli, Milano 1999
Pellegrino Artusi, “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, L’Arte della Stampa, Firenze 1891
R.Lami e D. Sassetti, “Il teatro E. Rossi di Pisa e la sua storia”, Nuova Toscana Editrice, 2006 Firenze

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