Il demone della traduzione

Traduzione_caccia_al_tesoro

di Daniela Corrado

Questo post nasce dalla necessità di condividere con altri traduttori le mie esperienze personali, partendo da un presupposto piuttosto banale: ma è vero che “mal comune, mezzo gaudio”?

Nelle ultime settimane mi sono occupata di un progetto di traduzione in ambito medico (premetto di aver già tradotto dei testi di fisica, veterinaria e archeozoologia in precedenza) che mi ha portato via tantissimo tempo, provocandomi forti ansie, insonnie e palpitazioni, fino alla tanto attesa data di consegna.

Se è vero che ogni testo rappresenta una sfida a cui il traduttore non può sottrarsi, pena la rinuncia totale alla traduzione, è anche vero che, in alcuni casi, la scrittura tecnica (scientifica, giuridica, ecc.), a differenza di quella narrativo-discorsiva, non vuole comunicare a tutti, ma solo ad alcuni; e per questo, il traduttore, oltre a gestire il grado di impersonalità e i tecnicismi che la contraddistinguono, è tenuto soprattutto a imparare un linguaggio nuovo.

Per molti anni si è operata una divisione, piuttosto imprecisa e generalista, tra la traduzione editoriale e quella tecnico-scientifica, includendo nella prima tipologia le traduzioni svolte per committenti editoriali e, nella seconda, quelle destinate a committenti privati, aziende, associazioni, enti pubblici, ecc.

Non voglio entrare nel merito di questa distinzione desueta sulla cui imprecisione tutti concordano, ma sottolineare soltanto di sfuggita il dramma personale di molti traduttori che, come me, svolgono delle traduzioni più o meno tecniche che poi vanno in stampa.

Sì, perché molte delle traduzioni scientifiche che ho svolto hanno avuto come scopo iniziale la presentazione di una specifica ricerca, in Italia o all’estero, in contesti di tipo congressuale; ma, in via del tutto parallela, i testi tradotti confluiscono sempre anche nei poster scientifici e nelle successive pubblicazioni.

Riassumendo: essendo una traduttrice che ha tradotto dei testi tecnico-scientifici che sono stati anche pubblicati, sono una traduttrice tecnica o editoriale?

Mmh, la  faccenda si fa confusa.

Presa da una crisi di identità, in grado anche di minare la visibilità della mia professionalità (provate a non rispondere alla domanda di un cliente e/o collega che vi chiede delucidazioni sulla vostra posizione professionale, specialmente se ha un’esperienza decennale, e poi mi dite…), decido di valutare le varie opzioni:

a) Sì, sono una traduttrice tecnica, specializzata nella traduzione dei testi scientifici. No non traduco manuali tecnici. Sì, traduco documenti aziendali. Sì, non ho problemi con l’editing e il post-editing perché faccio anche editoriale e collaboro stabilmente con alcuni periodici.

b) Sì, sono una traduttrice editoriale. Mi occupo in prevalenza di testi scientifici e giornalistici. No, non traduco manuali.

c) In realtà, sono una traduttrice tecnico-editoriale. Faccio entrambe le cose: sia traduzioni per periodici e pubblicazioni varie, sia traduzioni scientifiche. Ho esperienza in testi di fisica, veterinaria, medicina, archeologia e archeozoologia.

Qual è secondo voi la risposta giusta?

Sembra uno di quei quiz ministeriali in cui tutte le risposte sembrano vere…

Eppure, guardandomi indietro, mi accorgo  che questa sorta di indeterminatezza mi accompagna già da parecchio tempo; da quando, subito dopo la laurea, tutti i miei amici si scoprivano medici, ingegneri, chimici, fisici, matematici, filosofi, ecc. ed io, invece, avvertivo una profonda differenza tra essere “laureati in lingue” ed essere un “linguista”.

La sensazione di essere un pesce fuor d’acqua permane quando si dice a parenti ed amici che di mestiere si fa il traduttore (di solito l’espressione che segue è un misto di curiosità, perplessità, pena e preoccupazione), quando il committente e/o collega ti parla di qualche diavoleria tecnologica che nemmeno conosci, quando un amico ti chiede di tradurre così su due piedi il titolo di un libro inedito in italiano, e, ad essere sincera, anche quando ti trovi ad aprire per la prima volta il file che dovrai tradurre e consegnare a giorni (in quel caso mi chiedo sempre chi diavolo me l’abbia fatta fare ad accettare!).

Ecco cosa accade: dai una prima lettura al testo, poi inizi a tradurre così all’impronta, poi rileggi e ti rendi conto che così non va, allora torni indietro e approfondisci la lettura del testo, a quel punto decidi di partire per una ricerca terminologica le cui fonti sono perse o nascoste nel web, dopo aver gioito dei ritrovamenti fatti sul web, è ora di dare ordine alla struttura della frase, ti assalgono i dubbi della sintassi, riesci a sconfiggerli e piena di coraggio vai avanti, riguardi lo stile, hai finito. Sì… una frase!

E poi, frase dopo frase, accade qualcosa di miracoloso: sei entrato nel testo e lo senti tuo.

Questo è tradurre. Tradurre scienza, tradurre arte, tradurre narrativa, tradurre poesia, tradurre musica, tradurre cinema, ecc.

È, ad ogni costo, tradurre.

6 Comments

  1. Pur essendo nella stessa situazione, non ho sentito questo dilemma. Il segreto è proprio nella lingua, anzi nella terminologia ;-). La corretta distinzione è a mio parere fra traduttrice editoriale (lavora per case editrici, e quindi traduca ad esempio sia romanzi che ricette da cucina ecc. ecc.) e quella …. e qui manca la parola in italiano. In tedesco esiste il termine Fachübersetzungen che si potrebbe tradurre con “traduzioni settoriali” e che comprende tutte le altre categorie di traduzioni: legali, economiche e tecniche in senso stretto ecc. per committenti che non sono case editrici. Poi esiste ancora una categoria: l’adattamento pubblicitario, che si avvicina di più alla traduzione editoriale.

    Un saluto da una traduttrice settoriale e adattatrice 😉

  2. Paola

    Da collega, io dico che sei una 3)! Ti dirò che non vedo (più) la necessità di distinguere così tanto, almeno tra di noi e con te stessa
    (i clienti sono un’altra cosa perché vogliono certezze). Riconosco anche tanto l’atteggiamento “sociale” degli altri: non sei dottore, non sei ingegnere, né farmacista o prof… inoltre sei sempre a casa, che cappero fai? non lavori, ovviamente. Coraggio! Siamo in tanti a capirti!

  3. Grazie Paola e Marisa,
    chissà che in futuro qualcuna di noi non riesca a creare un neologismo che descriva qual è in effetti, nella pratica, la sostanza di questo nostro bellissimo lavoro in tutte le sue mille sfaccettature!

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