L’essenziale è invisibile agli occhi

di Daniela Corrado

“Come i frammenti di un vaso, per lasciarsi riunire e ricomporre

devono susseguirsi nei minimi dettagli,

ma non perciò somigliarsi, così invece di assimilarsi al significato dell’originale,

la traduzione deve amorosamente, e fin nei minimi dettagli,

ricreare nella propria lingua il suo modo di intendere,

per fare apparire così entrambe – come i cocci frammenti di uno stesso vaso –

frammenti di una lingua più grande […]”

Era il 1923 quando Walter Benjamin scrisse queste parole nel saggio Die Aufgabe des Übersetzers decidendo di affrontare la traduzione da un punto di vista filosofico ed extra-linguistico.

In genere, è abbastanza diffusa l’idea di considerare la traduzione come un mero esercizio pratico (forse è per questo che i traduttori automatici spopolano così tanto sul web), senza badare alla profondità teorica che di solito è sottesa a una buona traduzione.

Per Benjamin ogni traduzione avrebbe dovuto rivelare la “lingua della verità”, la lingua pura nascosta dietro ad ogni testo e che fa di una traduzione non una copia dell’originale, ma un testo nuovo; non un nuovo originale, ma un testo che non mette in ombra il precedente svelandone risvolti linguistici nascosti.

Sarò una romantica, ma per me la traduzione è essenzialmente questo: un confine sottile tra una nuova scrittura e una riscrittura.

Sulla scia del post precedente in cui veniva sottolineata l’importanza dello studio per ottenere una traduzione di qualità, a costo di sembrare ripetitiva e pedante, anche in questo affermo orgogliosamente lo stesso principio.

Molto spesso si tende a parlare di ciò che non si sa.

Ecco, diranno alcuni, un buon modo per ottenere una cattiva traduzione, e ovviamente un cattivo traduttore.

Ed ecco perché un buon traduttore tende a specializzarsi in un ambito ben preciso.

D’altra parte come resistere alla curiosità del nuovo? A quella nuova proposta, a quel testo che ti attrae, al cambiamento?

Come rifiutare un nuovo lavoro soltanto perché non rientra nella lista degli expertise?

Secondo me non c’è una regola valida che valga per ogni traduttore. Ognuno fa il suo percorso. Ognuno ha il suo tipo di formazione.

Ciò che conta è avere passione e curiosità per la comprensione, andare a fondo nelle cose e non fermarsi mai all’apparenza, inseguire la perfezione del dettaglio e avere l’umiltà di riconoscere che un collega avrebbe certamente tradotto lo stesso testo in un altro modo e che anche quella traduzione è un’alternativa valida alla nostra e pertanto merita rispetto.

Queste riflessioni sono dovute, in parte, alla decadenza che attanaglia le Facoltà di Lingue Straniere un po’ dappertutto.

Parlando con gli studenti più giovani mi sono accorta della straziante verità: in molti atenei, materie essenziali quali la Letteratura e la Linguistica sono spesso ridotte al ruolo di materie accessorie.

Mi chiedo se davvero la conoscenza di una lingua possa basarsi soltanto sulla capacità di chiacchierare più o meno velocemente su un determinato argomento in una lingua straniera…

In attesa che qualcosa cambi, o che le idee mi si chiariscano, so che mi perdonerete lo sfogo di questo post. 🙂

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