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di Daniela Corrado

Negli ultimi giorni – o forse sarebbe meglio dire negli ultimi mesi e anni – si è molto discusso sulle difficoltà, soprattutto economiche, del mestiere del traduttore. Dopo la lettera di protesta della traduttrice Andrea Rényi a Baricco, incriminato per non aver citato nel suo articolo su La Domenica di Repubblica i nomi dei traduttori dei migliori cinquanta libri letti negli ultimi dieci anni, e l’intervento di Paola Mazzarelli, traduttrice editoriale da oltre trent’anni, fondatrice della Scuola di Specializzazione per Traduttori Editoriali di Torino e redattrice della rivista Tradurre, sul Faber blog (il blog per chi la cultura la fa) del Sole 24 ore, ebbene è la volta di Ida Bozzi che, su Il Corriere della Sera, dà voce alla battaglia dei professionisti italiani nell’articolo “La vita agra del traduttore”.

Il tema principale è sempre lo stesso: l’assenza di riconoscimenti professionali (ricordiamoci che i traduttori non solo non hanno un albo, ma nell’iscrizione in Camera di Commercio vengono inseriti nella sezione “altro”), la miseria delle tariffe e la totale mancanza di tutele sanitarie e contributive. Se un traduttore si ammala, ha una gravidanza, va in ferie…beh semplicemente non guadagna.

In settimana mi è capitato di assistere ad un convegno di archeologi; è così che ho scoperto che anche in questo campo le cose non vanno meglio. L’80% circa degli archeologi è senza contratto e lavora a Partita Iva e -senti, senti…- neanche loro hanno un albo. All’improvviso mi ricordo di alcune ragazze laureate in biologia incontrate tempo fa ad un seminario di orientamento al lavoro, anche loro precarie o impiegate occasionalmente nei laboratori d’analisi, e anche in quell’occasione saltò fuori l’argomento Partita Iva. Beh, se il datore di lavoro non ti fa un contratto in qualche modo dovrà pur pagarti: ecco il perché della Partita Iva. Gli archeologi del convegno si lamentavano degli avvocati e degli ingegneri perchè loro sì che ce l’hanno l’albo. In realtà, molto spesso, anche questi professionisti lavorano con la Partita Iva fornendo consulenze o prestazioni varie e occasionali.

Credo che il problema sia, in generale, del lavoro, e che diventi più evidente nelle professioni connotate di “rosa”. La gran parte degli archeologi, dei traduttori e dei biologi sono donne. Sinceramente non so come un problema così annoso possa risolversi in un albo, anche se devo ammettere che potrebbe essere un piccolo passo verso “qualcosa”. Forse sarebbe meglio la medicina Monti: aboliamo tutti gli albi e gli ordini professionali. Anche questa potrebbe essere una strada perseguibile…

Per ora, nel mio piccolo, svolgo la mia battaglia personale consigliando a tutti di non piegarsi a lavorare gratis o per pochi spiccioli. Se TUTTI i traduttori, specialmente i neolaureati in discipline linguistiche, si rifiutassero di lavorare gratis ci sarebbe lavoro pagato non dico per tutti, ma almeno per qualcuno! Nessuno assume un traduttore se sa già che c’è qualcuno disposto a tradurre gratis! E lo stesso discorso vale anche per le altre professioni. Credo infatti che si dovrebbero eliminare in toto tutti i tirocini e gli stage in quanto forme legalizzate di lavoro non o mal retribuito! Tenere uno stagista per 18 mesi e poi assumerne un altro, e un altro ancora, senza proporre uno straccio di contratto a nessuno di questi, indipendentemente dal fatto che abbiano lavorato bene o male, è il vero scandalo del lavoro di oggi, e coinvolge tutti! Tutti dovremmo combattere questa battaglia, e invece di accontentarci di riconoscimenti settari o restare inebetiti a guardare, fare in modo che il motto del Gattopardo non vinca e che qualcosa cambi davvero.

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